Architettura bioclimatica

Architettura bioclimatica

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L’architettura bioclimatica usa gli elementi naturali del sito (il sole, il vento, l’acqua, il terreno e la vegetazione) per realizzare edifici termicamente efficienti in grado di soddisfare i requisiti di comfort termico, indipendentemente dall’uso di impianti di climatizzazione.

L’approccio bioclimatico è legato al principio di autosufficienza e alla consapevolezza che i principali fenomeni che influiscono negativamente sull’ambiente sono causati dal consumo di grandi quantità di energia non rinnovabile. L’edilizia è un settore altamente inquinante poiché gran parte delle emissioni dei gas e di CO2 proviene proprio dagli impianti di climatizzazione e di riscaldamento.

Lo scopo dell’architettura bioclimatica è il controllo del microclima interno, con strategie progettuali “passive”[1] che, minimizzando l’uso di impianti meccanici, massimizzano l’efficienza degli scambi termici tra edificio e ambiente.

Le esigenze termiche dell’edificio variano a seconda della stagione e della latitudine.
L’architettura bioclimatica definisce le caratteristiche geometriche e strutturali dell’edificio, la sua localizzazione e l’orientamento in modo tale da adattarsi alle diverse condizioni climatiche.

Generalmente nelle regioni a clima temperato si distinguono tre fasi termiche a cui corrispondono diversi requisiti dell’edificio:

INVERNALE: occorre favorire l’irraggiamento solare sulle pareti e le finestre per scaldare gli ambienti interni; occorre inoltre l’elevato isolamento termico dell’involucro per conservare il calore accumulato.
ESTIVO: occorre proteggere l’edificio dall’irraggiamento solare con dei sistemi di ombreggiamento, avere involucri di massa elevata e quindi alta inerzia termica[2], nonché favorire la ventilazione naturale dell’edificio.
MEZZA STAGIONE: richiede la combinazione di soluzioni in grado sia di raffrescare che di riscaldare.

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